[Einaudi, Torino 2010]
Nel suo ultimo romanzo Laura Pariani ha scelto di raccontare la Milano del 1969 da un punto di vista marginale, quello di un barbone. Milano è una selva oscura conferma, in tal modo, l’interesse della Pariani per tutto ciò che viene dimenticato e rimosso dalla storia ufficiale, per quello che resta «fuori da ogni quadro statistico compilato da ben pasciuti funzionari dell’Istat». L’elemento di originalità è dato dalla scelta di concludere il racconto con la strage di piazza Fontana, evento che fino ad oggi sembrava essere diventato, salvo poche eccezioni, ostaggio esclusivo dei romanzi noir.
La struttura del testo rievoca le Quattro stagioni di Vivaldi: la narrazione, infatti, è distribuita in quattro capitoli (Inverno, Primavera, Estate e Autunno) ciascuno dei quali suddiviso in tre diversi movimenti musicali. Il protagonista è Dante, un barbone milanese dietro il quale si cela in realtà un uomo colto «cresciuto a pane e classici, tra volumi sfatti e polverosi», un poeta che ama recitare antiche filastrocche in dialetto, vecchi proverbi «ben oliati dai secoli dei secoli » e conosce a memoria i versi della Divina Commedia tradotti in milanese da Carlo Porta.
Prima di finire sulla strada, possedeva insieme a un amico una libreria antiquaria; dopo la morte improvvisa di quest’ultimo è costretto ad aprirsi in proprio una bancarella di libri usati. Per aver venduto dei libri con foto un po’ piccanti, viene processato per vilipendio alla pubblica morale e rinchiuso per tre anni a S. Vittore. Tutto questo – insieme alla storia della sua infanzia, del suo matrimonio fallito e della tragica perdita dell’unica figlia – il lettore lo scopre attraverso i ricordi che a poco a poco Dante va dipanando durante le sue peregrinazioni per le strade di Milano.
A queste memorie intrise di rimpianto, rimorso e nostalgia si alterna la contemplazione amara e risentita di una città dilaniata dalle contestazioni studentesche e operaie, dalle violenze neofasciste e delle forze dell’ordine. L’odio e il risentimento per questa città dove «bisogna comprare anche l’aria» e per il suo «presente di macchine e fragori» non impediscono a Dante di costruire dei legami di amicizia autentici con altri suoi simili come il Professor, un ebreo al quale i fascisti hanno bruciato la baracca in cui viveva, uno storpio di nome Gazzella suonatore di fisarmonica, l’anarchico Parafina e infine un cane abbandonato, vero e proprio doppio speculare di Dante.
Nella costruzione di questo esemplare “uomo infame”, l’autrice riattiva il topos del barbone come detentore della memoria della città, figura forgiata dall’immaginario collettivo nel momento in cui le grandi città italiane cominciarono a mutare la loro fisionomia urbana con l’avvento del “benessere”. Tuttavia, la sua caratterizzazione risente di una retorica romantica e bohémien dal gusto un po’ retrò che diminuisce la forza critico-negativa del testo innescando un processo di trasfigurazione fiabesca della realtà, per certi versi analogo a quello di Miracolo a Milano, l’ultimo capolavoro di De Sica.
A differenza di quest’ultimo, però, la componente fiabesca non emerge dalle cose stesse o attraverso uno slancio visionario, ma viene appiccicata loro dall’esterno con il ricorso ad altri testi letterari secondo i moduli del pastiche (sono moltissime le citazioni da Hugo, Villon e Le mille e una notte). Benché affronti da un punto di vista inedito il tema del terrorismo, spesso declinato dai nostri scrittori negli stessi ripetitivi stereotipi, Milano è una selva oscura risulta, dunque, un libro fuori stagione riproponendo ricette narrative ormai esaurite.
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